La Marfisa bizzarra -  Carlo Gozzi

La Marfisa bizzarra (eBook)

(Autor)

Cornelia Ortiz (Herausgeber)

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2023 | 1. Auflage
197 Seiten
DigiCat (Verlag)
978-65--4748106-9 (ISBN)
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La Marfisa bizzarra è un'opera del celebre autore Carlo Gozzi che mette in luce il suo stile teatrale unico e innovativo nel contesto della commedia dell'arte. Questo testo presenta un intreccio intricato e personaggi eccentrici che si muovono in un mondo fantastico e surreale. Gozzi utilizza una prosa brillante e ricca di metafore che cattura l'immaginazione del lettore e lo trasporta in un viaggio coinvolgente e avvincente. La Marfisa bizzarra si distingue per la sua capacità di mescolare umorismo, pathos e allegoria in un mix straordinario che affascina e intrattiene il pubblico. Carlo Gozzi, con la sua vasta conoscenza della commedia italiana del XVIII secolo, ha creato un capolavoro che riflette la sua profonda comprensione dell'arte teatrale e della psicologia umana. Consiglio vivamente questo libro a chiunque sia interessato alla letteratura teatrale e alla magia della narrazione creativa.

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Ma in mezzo una brigata d'ignoranti, che ne trovava a sua soddisfazione, metteva nelle ceste tutti quanti, ma n'usciva con gran riputazione. Era solo in famiglia, e poco inanti il padre suo, chiamato Guglielmone, se n'era morto ed ito non so dove, e lasciatolo ricco a tutte prove.

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Fra l'altre cose, per parer uom grande faceva pompa d'esser miscredente, scherzando sul digiun, sulle vivande ed altre cose impertinentemente. Ma poi tremava da tutte le bande a un po' di febbre, e allor divotamente chiamava sant'Antonio e san Bastiano e gli pregava umíle a farlo sano.

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Era costui vizioso in generale, e sendo il lusso alla moda e lo spendere, poiché allo scrigno fece metter l'ale, incominciò le possessioni a vendere; e si ridusse in breve a caso tale che nessun era che il sapesse intendere: e alfin si diede a prendere a credenza, che in ciò buona compagna ha l'eloquenza.

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A chi per caso gli dava un saluto, tosto chiedeva sei zecchini d'oro: per la restituzion, fosse vissuto quanto Nestorre, era vano il lavoro. Non c'era uom che l'avesse conosciuto, che non dovesse aver da Filinoro; e sempre par che furberie ritrovi per accoccarla e far debiti nuovi.

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Quando avea fatti debiti in cittade, pe' quali ad ogni passo avea la stretta, diceva a tutti:—Io vo a vender le biade;— e se n'andava in una sua villetta a infinocchiare i villan per le strade con affittanze a buon mercato in fretta, e beccava le rate anticipate di ben venduti prima sei giornate.

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Poscia con un borsotto di ducati alla cittá ritornava di nuovo, ed i piú sciocchi creditor pagati, dicea:—Cosí l'operar mio vi provo.— Ma non eran tre giorni ancor passati, che due pulcin schizzavan da quest'uovo; e quivi doppio il debito piantava, poi nella faccia piú non gli guardava.

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Se avviluppar sapeva le ragioni, quando nel fòro alcun lo fa citare, ed interdire, e far le sospensioni al messo che gli andava a pignorare, e predicare i creditor bricconi, ladri, usurai, non è da dimandare. E dir che conosceva il suo dovere e l'onore, e giurar da cavaliere!

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E benché mille truffe fatte avesse e disertati mille poveretti, nol concedeva, e parmi ch'ei dicesse che gli erano obbligati de' farsetti. E dicon gli scrittor che pretendesse un nobil nato non abbia difetti, e che a un uom d'arti inique e vizi pieno fosse la nobiltá contravveleno.

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Donde intuonava quasi ogni momento la somma antichitá del suo casato. Credo e' dicesse discendea dal vento e d'aver sangue netto di bucato. Ma si ridusse alfin in sí gran stento, che piú in Guascogna non era guardato, e stava per morirsi dalla fame, e mal dormia, pisciando in un tegame.

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Mi piacque un caso che di lui si legge. A un creditor, che gli era sempre a fianco, disse un dí:—Tu mi par di buona legge. Io mi vo' far di quel debito franco, s'io ne dovessi andare a pezzi e in schegge, perocché tu debb'esser molto stanco. Io deggio darti que' ducati mille, che sento al cor per altrettante spille.

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Ho un capital che agli antenati miei costò tremila scudi e piú qualcosa. Io tel vo' dare, e immaginar ti déi che m'esce dalle viscere tal cosa. Sino a un grosso il dí piú chieder potrei d'investitura tanto preziosa. Danne mille in aggiunta al mio dovere, e l'istrumento cedo in tuo potere.—

55

Il creditor col dito il cielo tocca, e disse:—Io vo' veder l'investitura.— Filinor nelle mani gli raccocca in una pergamena una scrittura. Colui, leggendo pian, mena la bocca; vide ch'egli era d'una sepoltura un acquisto, che fecion gli antenati di Filinoro, in chiesa a certi frati.

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Quel poveruom perdé la pazienza: come un castrato s'è messo a gridare. Filinor diede mano all'eloquenza, e seppe in modo tal ciaramellare, e lo rimise tanto in coscienza, e il fece cosí bene intabaccare, che gli trasse di scudi piú di cento, facendo la cession del monumento.

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I danari in bagasce ed in bassetta, come s'usava allor, fecion le piume; e Filinor in men ch'io non l'ho detta rimase come prima in mendicume, e va facendo a' sozi di berretta ed a' parenti. Ma correa costume in quell'etá, che parenti ed amici non soccorrean di nulla gl'infelici.

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Dappoich'egli ebbe con la sua bellezza a molte vecchie ricche e scostumate succiata con infamia la ricchezza, e piantate anche quelle disperate, non sapea dove appiccar piú cavezza. Molti dicevan ch'egli andasse frate: tutta Guascogna stava in attenzione che si fuggisse o n'andasse prigione.

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Egli avea de' parenti di gran stima e in gran riputazion per la Guascogna. Questi:—Pagargli i debiti per prima —avevan tra lor detto—non bisogna; ma non convien la sbirraglia l'opprima, ché ne verrebbe a noi troppa vergogna.— E con uffizi e secreti e trattati teneano in soggezione i magistrati.

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Tal che pioveva a Filinoro addosso de' creditor la rabbia e le parole. Il peso era venuto troppo grosso, Filinor sofferirlo piú non puole; donde una sera, dalla stizza mosso ed invasato:—Medicar si vuole —disse—co' miei specifici ed unguenti le direzion di questi buon parenti.—

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E se n'andò secretamente al duca, narrò del parentado la malizia. —Fatemi por da' birri nella buca —disse,—perch'abbia effetto la giustizia: voi vederete, pria che il sol riluca, comparir genti e danari e dovizia, e fien pagati tutti i creditori, ed io da mille angosce uscirò fuori.—

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Il duca fu per scoppiar dalle risa, udendo l'acutezza di colui; pur si trattenne, e vòlto in una guisa che parve uscito da que' luoghi bui: —Com'hai sí l'alma dal ben far divisa, prostituito nobile; e da cui avesti educazion sí infame e vile, cavalier da taverna e da porcile?—

63

Filinor non si scuote e non si move. —Il mio costume—rispose—l'appresi da' cavalier delle commedie nuove e da' conti di quelle e da' marchesi. Se furon disoneste le lor prove, pur applaudire a gran furore intesi le commedie, i caratteri e i poeti, c'han premiati i miei pari e fatti lieti.—

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E tenta con gli scherzi il tristerello la serietá del duca di recidere, e va pur dietro a far del buffoncello perché palesi l'interno col ridere; e dice i fatti di questo e di quello, e che tal visse ben ch'era da uccidere; ma sopra tutto va rammemorando le commedie d'allor di quando in quando.

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—Orsú—rispose il duca,—non è questa una commedia, e poeta io non sono. Andrai tra ferri non per la richiesta, ma perché castigarti oggi fie buono.— E poi, rivolto con molta tempesta ed una voce che parve d'un tuono, disse a' ministri:—Costui fate porre con le catene in fondo ad una torre.—

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Filinor volentieri andò in quel fondo per liberarsi da' creditor suoi. Tosto la fama fece il ballo tondo: i creditor l'hanno staggito poi; ed i parenti pel rossor del mondo a male in corpo divenîro eroi, quetando i creditor con piegerie e con danari, e i piú con le bugie.

67

Ma sopra tutto il duca era l'acerbo, ché volea castigar quel malvivente, e rispondeva:—In carcere lo serbo: vo' dar esempio risolutamente.— Que' cavalier, che ognuno era superbo, scoppiavan per vergogna della gente, priegano e mandan preghi e dame e conti, e non c'è caso a far che il duca smonti.

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Un dí fu detto loro in un'orecchia:
—Volete voi che il duca si rimova?
E' c'è una ballerina, volpe vecchia,
che dispone del duca ad ogni prova.
Ma per schizzare il mel da questa pecchia,
oro bisogna in una borsa nuova.—
Alfin s'ebbe la grazia con la borsa,
quantunque alcun autor tal cosa inforsa.

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Fatto sta che la borsa fu donata, ma non si dice il duca avesse parte. Il duca aveva i milion d'entrata, la ballerina sol languori ed arte. Sempre fu qualche lingua infradiciata che ne' racconti dal ver si diparte; ma permetteva il costume d'allora Filinor per la borsa uscisse fuora.

70

Vero è che il duca lo lasciò con patto, tempo sei giorni, di Guascogna uscisse. Filinor non è punto stupefatto, e sue bazzicature in punto misse, avendo da' parenti in su quel fatto poche monete con parecchie risse; e dispose d'andarsene a Parigi ad uccellar qualche incarco e luigi.

71

Era lungo il viaggio e i danar scarsi, e disegnava andarvi con gran treno. Un abito comincia apparecchiarsi, di frangie e gallon falsi tutto pieno. Aveva un cocchio di que' dal tempo arsi, ma per viaggio servia nondimeno. Il nodo stava in non aver cavalli; pur non si stanca e pensa comperalli.

72

In sul mercato da certi villani compri ha quattro cavai magri e vecchioni, e non gli furon mantenuti sani, perché avean tutte le maladizioni. Eran bolsi, rappresi e storpi e strani, ...

Erscheint lt. Verlag 23.2.2023
Sprache italienisch
Themenwelt Literatur Lyrik / Dramatik Dramatik / Theater
ISBN-10 65--4748106-9 / 6547481069
ISBN-13 978-65--4748106-9 / 9786547481069
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