Quanti buchi ha un anello? (eBook)

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eBook Download: EPUB
2017
200 Seiten
Publishdrive (Verlag)
978-88-99652-83-8 (ISBN)

Lese- und Medienproben

Quanti buchi ha un anello? -  Gnomo Orzo
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E se l'universo non pesasse nulla e quindi la materia non esistesse realmente?

Ciò che parrebbe un dubbio legittimo per un mistico studioso dei Veda indiani è invece un imbarazzante risultato dell'applicazione della Relatività ristretta alle osservazioni ottenute dal gruppo di astrofisici che hanno misurato la radiazione cosmica di fondo del nostro universo.

All'alba del nuovo millennio il satellite WMAP, oltre a fornirci una misura del cosmo mai ottenuta fino ad ora, ha creato non pochi grattacapi alla concezione di universo a cui ancora oggi ostinatamente crediamo. Questo libro, attraverso il racconto di cent'anni di scoperte sconvolgenti della Fisica, ci conduce fino ad una nuova, strabiliante visione del cosmo. Curiosamente identica a quella di un mistico.

Tempo relativo


Quando un uomo siede un’ora in compagnia
di una bella ragazza sembra sia passato un minuto.
Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e
gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.
Questa è relatività.

Albert Einstein

Un antico detto afferma che il modo migliore di nascondere una cosa è metterla bene in evidenza. Credo che la notorietà planetaria di Albert Einstein e della sua formula sulla relazione tra massa ed energia rendano perfettamente l’idea: se pensiamo a uno scienziato ci viene in mente Einstein; se dobbiamo fare un paragone che riguarda l’intelligenza, il riferimento sarà da 0 ad Einstein; se decidiamo di stampare sulla nostra maglietta una formula matematica, la scelta sarà tra E=mc2 e tutte le altre.

È comprensibile che Sir Arthur Stanley Eddington affermasse, negli anni Venti, che la Teoria della Relatività l’avessero compresa “in due, oltre a lui”; più strano è che, a più di cento anni di distanza, sia ancora così poco compresa, al di là di quel vago concetto che recita: “Tutto è relativo”.

Einstein non era un matematico puro: in prima battuta immaginava nuove ipotesi attraverso “esperimenti mentali” di pura logica, e solo successivamente le articolava utilizzando il linguaggio della Matematica.

Egli lavorava a Berna all’Ufficio Brevetti, non aveva nessuna cattedra di Fisica ed era pressoché sconosciuto quando, nel 1905, pubblicò l’articolo dal titolo Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, che enunciava la Teoria della Relatività ristretta, anche detta “speciale”, perché si riferisce solo a una certa categoria di corpi in movimento: in movimento, ma senza nessuna accelerazione in atto, cioè senza variazioni di moto.

Malgrado la sua popolarità sia dovuta alla Relatività, Einstein non vinse il Nobel per quell’articolo, ma per un altro; in totale, nel 1905, gli articoli del giovane impiegato dell’Ufficio Brevetti furono tre e ognuno di essi generò conseguenze e sviluppi che diedero carburante alla Fisica per un secolo. Ancora oggi, infatti, sono molti i risvolti aperti da quelle intuizioni geniali ed esatte.

Oltre al già citato articolo sulla prima formulazione della Relatività speciale, nel secondo articolo pubblicato in quell’anno egli risolveva l’enigma del moto browniano delle particelle e confermava l’idea generale di struttura atomica che ancora oggi, pur con molte aggiunte e variazioni, si ritiene valida.

Il botanico scozzese Robert Brown notò, nel 1827, come i grani di polline posti in sospensione in acqua mostravano un moto continuo, rapido e irregolare, che non aveva alcuna spiegazione visto alla luce della teoria cinetica di allora.

Peggio ancora: la stessa cosa accadeva con minuscoli frammenti di legno oppure di roccia. Da qualche parte, in quel mondo microscopico, vi era una fonte di energia e di moto che non rispondeva alle leggi allora note. Un grattacapo, per la Fisica di allora.

Einstein comprese che la spiegazione di questo fenomeno prevede una relazione tra aspetti macroscopici e microscopici, i quali, intrecciati insieme, forniscono una spiegazione coerente sia con la Cinetica sia con l’Elettrodinamica. Detto in maniera più semplice, Einstein comprese che esistono due zone di influenza diverse: una che riguarda il microcosmo e l’altra che riguarda il macrocosmo, nelle quali le leggi sono differenti e si comportano diversamente. Se oggi questo concetto è lapalissiano, è perché, allora, egli lo capì. Questa intuizione, di fatto, aprì le porte a visioni successive, come la Teoria della complessità e il modello atomico oggi riconosciuto valido.

Il terzo articolo di Einstein dava una spiegazione coerente e completa all’effetto fotoelettrico, un fenomeno allora inspiegabile. Il fenomeno, in sé, è semplice da immaginare: basta pensare a un pezzo di metallo che viene colpito da una radiazione elettromagnetica. Ebbene, il metallo, invece di emettere a sua volta radiazione in forma proporzionale a quanta ne assorbe, emette elettroni – immaginate, ad esempio, il rossore di un pezzo di metallo rovente che emette calore e luce – solo a determinate frequenze. È come se, davanti a uno specchio, noi fossimo visibili solo quando il nostro corpo ha una certa temperatura, e completamente trasparenti a tutte le altre. Il futuro Premio Nobel risolse l’enigma facendo sua un’altra grande intuizione che ebbe Max Planck cinque anni prima.

Planck aveva risolto un problema squisitamente matematico, escogitando un metodo per calcolare la temperatura all’interno di una “scatola calda” – ovvero un corpo nero3 – che fosse coerente con i risultati sperimentali. Complicato? Se siete a digiuno di Fisica, spiegata in questo modo la questione non è molto comprensibile e fate bene a storcere il naso, ma allargando un poco il discorso, con qualche particolare in più, si può cogliere la preziosità di questa scoperta. Proviamo!

Alla fine dell’Ottocento, l’Elettromagnetismo di Maxwell aveva creato molte grane a chi, come nel caso dei matematici, doveva far quadrare i conti tra teoria matematica ed evidenza sperimentale. La presunta incongruenza era questa: secondo la nuova visione dei campi elettromagnetici come onde (immaginate una corda tesa che oscilla), calcolare le frequenze presenti dentro un corpo nero portava a dei risultati numerici assurdi: essendoci all’interno della scatola frequenze calcolabili teoricamente infinite, al livello degli ultravioletti, laddove le frequenze sono alte, si arrivava a ottenere sulla carta dei valori infiniti. Dunque, in teoria, secondo la Fisica conosciuta a quei tempi, una scatola di quel tipo doveva avere al suo interno energia infinita.

Ma, com’è ovvio immaginare, quelle scatole non avevano, in nessun caso, energia infinita al proprio interno, ma una temperatura normale. Planck fece il suo lavoro di matematico, cioè elaborò dei calcoli che portassero agli stessi risultati misurabili attraverso la sperimentazione; per farlo, dovette presupporre, in maniera del tutto arbitraria, che una qualunque manifestazione di energia – come quella all’interno della scatola – non fosse un flusso continuo e costante, ma divisa in tante piccole porzioni. Arrivò anche a calcolare quei piccoli valori discreti, che, per quanto spaventosamente minuscoli, risolvevano brillantemente il problema e collimavano con le misurazioni empiriche.

Einstein, cogliendo la straordinarietà di quella soluzione matematica, usando la stessa logica di Planck e ampliandola alla questione della luce, nel suo articolo dimostrò che l’effetto fotoelettrico era il risultato diretto dell’esistenza di piccoli mattoncini di luce – i fotoni – e che la radiazione elettromagnetica viene emessa solo quando si raggiunge un certo livello di energia e non prima. Egli portò a termine ciò che Planck aveva cominciato e, di fatto, creò una nuova Meccanica basata sul concetto di “quanti”, che permise di raccontare il microcosmo come la Meccanica classica non avrebbe mai potuto fare.

Per quest’ultimo articolo sull’effetto fotoelettrico, Einstein ottenne un premio e una piccola maledizione: il premio fu il Nobel nel 1921; la maledizione fu che, di fatto, questo articolo fece nascere la Meccanica quantistica, figlio illegittimo che egli cercò di disconoscere per il resto della propria vita.

Ci vollero poi una decina d’anni affinché Einstein stendesse una seconda parte della sua teoria, che funzionasse, cioè, anche su corpi accelerati e spiegasse il comportamento della gravità.

Ma, osservando i risultati dei calcoli, notò, con grande stupore e rammarico, che il suo universo si espandeva; purtroppo, a causa della mentalità dell’epoca e della sua stessa educazione, arrivò alla conclusione che un universo in espansione doveva essere per forza impossibile. Introdusse, allora, una variabile arbitraria, che, se aggiunta con un valore negativo, lo sgonfiava un po’, rendendolo stabile.

Tre anni prima intanto, nel 1912, Vesto Slipher aveva notato il cosiddetto “redshift” delle galassie, cioè il fatto che le galassie si allontanano tra di loro, ma neppure lui capì le implicazioni di questo fenomeno. Sarà Edwin Hubble, una decina di anni più tardi, a comprenderne gli effetti e cioè che l’universo si sta espandendo. In questo caso, si trattava del risultato dell’osservazione sistematica di molte galassie in espansione attraverso un telescopio. Da allora, il mondo accademico ha cominciato a convivere con l’idea che il nostro universo assomigli molto a un palloncino in cui si soffia costantemente aria, diventando sempre più grande.

Einstein l’aveva calcolato ma non l’aveva capito; o meglio: non l’aveva accettato. Egli stesso disse, anni dopo, che fu l’errore più grande della sua vita.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, con lo sviluppo dell’Astrofisica, nasce la teoria del Big Bang, figlia della Relatività generale e corroborata dall’evidenza delle Leggi della Termodinamica: l’universo arriva da uno stato molto caldo e si sta raffreddando mentre si espande; ergo, potrebbe esserci stato un momento dell’universo in cui tutto era caldo, rovente e in cui l’espansione ancora non era avvenuta. Queste deduzioni portarono all’idea del grande “botto”: il Big Bang. Ma le deduzioni continuavano a non essere confortate da alcuna evidenza sperimentale.

Nel 1964, i due fisici statunitensi Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson, per puro caso, misurarono nello spazio, in tutte le direzioni dalla Terra, una radiazione nello spettro delle microonde e cioè, per dirla in maniera molto semplice, un calore residuo di alcuni gradi Kelvin.

Per puro...

Erscheint lt. Verlag 4.10.2017
Sprache italienisch
Themenwelt Sachbuch/Ratgeber Gesundheit / Leben / Psychologie Esoterik / Spiritualität
Kinder- / Jugendbuch Sachbücher
Geisteswissenschaften Religion / Theologie Weitere Religionen
ISBN-10 88-99652-83-X / 889965283X
ISBN-13 978-88-99652-83-8 / 9788899652838
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